Mentre le notizie di una possibile guerra con l’Iraq occupano quasi integralmente i media e la sua eventualità mobilita ancora una volta milioni di persone pronti a manifestare per la pace, il pensiero cristiano contemporaneo sembra non riuscire a sviluppare una posizione che sia credibile e politicamente praticabile. Le voci sono molte e le posizioni sono complesse. In pochi casi, però, si ha la sensazione che si lasci al Vangelo il compito di interpretare il mondo e la vita. Anche negli ambienti evangelici italiani sono pochi gli sforzi in questa direzione, adesso più che mai.
E’ sempre difficile offrire soluzioni, ma sono convinto che gli evangelici siano in una posizione speciale per proporre una riflessione che contribuisca sia all’edificazione del corpo di Cristo, sia al benessere della società nella quale vivono.
Nessuna piattaforma ideologica può giustificare l’azione di un tiranno quale è Saddam Hussein. Il suo governo ha comportato per il popolo irakeno oppressione e miseria. Le libertà civili sono ignorate, la prigionia, la tortura e l’omicidio di coloro che dissentono sono all’ordine del giorno. Il culto della personalità creato ad arte da S. Hussein è ripugnante e vomitevole. Se cerchiamo un esempio di come non dovrebbe essere l’uso del potere, il regime irakeno è, purtroppo, il più efficace. Lo stesso programma militare di Hussein è quantomeno preoccupante. Pur nelle incertezze attuali che gli ispettori delle Nazioni Unite provano faticosamente a risolvere, è certo che la costruzione di armi biologiche e chimiche sia stata una delle principali preoccupazioni del regime irakeno. Il problema non è però tanto la moralità di Saddam Hussein, quanto quello che l’Occidente dovrebbe fare. Stati Uniti e alcuni alleati hanno quindi presentato la loro strategia e a guidarla è la nuova teoria della guerra preventiva, la quale afferma che è legittimo attaccare preventivamente un altro Paese a motivo di una potenziale minaccia alla sicurezza interna. Una prospettiva di questo tipo ha quindi portato alla ribalta una molteplicità di posizioni con la quale dobbiamo confrontarci.
Innanzitutto analizziamo le alternative. Da un lato il pacifismo considera ogni tipo di uso della forza incompatibile con il discepolato cristiano. Dall’altro i fautori di nuove crociate giustificano il ricorso alla guerra e alla violenza quando necessario (difendere dei valori o dei principi, raggiungere un obiettivo). Le esigenze della pace sembrano, ancora una volta, opporsi a quelle della giustizia. Oltre a queste alternative esiste, però, una significativa posizione che il pensiero cristiano ha da diversi secoli (da Ambrogio e Agostino passando per Tommaso d’Aquino e i Riformatori): la guerra giusta. Con guerra giusta si intende il tentativo di onorare le esigenze della pace e della giustizia, proibendo l’uso della violenza e delle armi a meno che alcuni criteri – jus ad bellum e jus in bello – siano soddisfatti, quali la giusta causa, una autorità competente e legittimata a decidere e la guerra come ultima possibilità.
È immediato verificare come la riflessione della guerra giusta si contrappone ad una strategia di guerra preventiva; e questo per diversi motivi: a) un sentimento di insicurezza (anche se ragionevole dopo l’11 settembre) non è una giusta causa; b) l’autorità competente dovrebbe essere l’ONU e comunque non una coppia di Paesi; c) non tutte le possibilità politiche e diplomatiche sono state esplorate.
Recuperare la riflessione sulla guerra giusta è, quindi, un primo contributo che gli evangelici possono dare. Il problema della guerra è, infatti, un prisma attraverso il quale molti aspetti possono essere presi in considerazione, dalla prospettiva cristiana del potere e della politica a quella della giustizia e della pace. Certo nel fare questo devono stare attenti alla complessità teorica che sostiene la tradizione della guerra giusta, devono considerare che le attuali condizioni storiche, sociali, economiche e militari sono profondamente diverse da quelle di allora. Il principio di fondo, però, rimane. Occorre con urgenza approfondire e articolare i valori e le virtù cristiane sottolineati da questa posizione. In ogni caso la prospettiva cristiana richiede una forte preferenza a favore della pace e l’onere della prova ricade su coloro che vogliono convincerci dell’opportunità della guerra e della violenza.
La riflessione sulla guerra giusta può essere utile anche alla formazione spirituale del cristiano. È quello che sia Agostino sia Calvino fanno nelle loro argomentazioni. Innanzitutto guardiamo onestamente alla nostra corruzione, alla nostra capacità di auto-ingannarci e successivamente prestiamo la nostra attenzione all’umanità di coloro verso i quali le nostre armi e la nostra violenza sono dirette. Stiamo attenti ad esaltare le nostre buone ragioni svalutando la dignità dei nostri potenziali nemici: spesso sconfiggiamo i nemici esterni solo per correre il rischio di essere distrutti dal “nemico in noi stessi” (Agostino).
La prospettiva evangelica ci chiama inoltre a identificare chiaramente la dimensione teologica dell’occidente e della politica. Come l’impropria fedeltà alla nazione sfocia facilmente nel nazionalismo e quindi nell’idolatria, il richiamo agli interessi e ai valori dell’occidente può facilmente declinarsi con la promozione di cause ingiuste. La nostra fiducia non può essere posta nella superiorità tecnologica delle nostre armi o nella forza delle nostre democrazie. Dopotutto il danno che possiamo ricevere da una guerra non rappresenta la minaccia principale al nostro benessere. Siamo infatti convinti che solo una corretta relazione con Dio ci rende sicuri e che nessuna cosa o creatura può separarci dall’amore di Dio.Per ultimo dovremmo sviluppare una autentica prospettiva globale della fede cristiana. Per questo motivo il nostro atteggiamento verso l’Iraq dovrebbe essere caratterizzato da una forte solidarietà verso tutti i cristiani che anche lì si incontrano nel nome di Gesù, il Signore. Lo stesso per la Corea del Nord, lo stesso per la Palestina. Shalom.